“Non sono un imprenditore. Non so seguire strategie commerciali o mode estetiche pensando al profitto. Non so impormi traguardi. Mentre, sempre più, trovo il tempo per i lunghi viaggi in Oriente che da sempre ho amato, mi confronto con quella che più che un’azienda è ormai una realtà multiforme, una Medusa dai mille tentacoli.
Driade è nata come per caso tra le pieghe dei miei desideri.
Se ripercorro la mia vita, rivedo i viaggi, le curiosità, le persone delle quali ho cercato l’amicizia, l’intelligenza, la capacità di immaginare mondi diversi a partire dalle piccole cose quotidiane. Driade si è sviluppata mio malgrado, è cresciuta, e ha raggiunto quel riconoscimento internazionale che le attribuiscono senza che in fondo io facessi nulla per ottenerlo.
Ho avuto la fortuna di frequentare i più grandi designer del mondo, ma i miei rapporti con il mondo del design non sono nati da scelte consapevoli e programmate, o da una visione lucida delle trasformazioni culturali e sociali che stavamo attraversando.
Quelle scelte riflettono soltanto il mio gusto del momento, sia che le vogliamo chiamare capricci o intuizioni. Ho fatto ciò che mi piaceva, ho prodotto oggetti che avrei voluto acquistare o regalare, ho frequentato persone che stimolavano la mia curiosità e ho desiderato di lavorare con loro.
Driade non è mai stata un obiettivo, ma un mezzo, uno strumento di conoscenza che mi si è cucito addosso come un abito sempre troppo stretto.
Mi considero un eclettico, nel senso che posso ritrovarmi nel minimalismo più estremo come nel barocco più elaborato. Ciò che mi interessa è la capacità di concentrazione, di dire tutto senza una parola di troppo o una di meno. Se questo è minimalismo, allora il Salotto cinese di porcellana della reggia di Capodimonte è minimalista come il convento di Novy Dvur di Pawson.
Il mio eclettismo mi ha permesso di sfuggire alle mode e alla noia.
E’ un modo per viaggiare, di essere sempre altrove, di inseguire nuovi progetti quando gli ultimi ancora non hanno visto la luce. Se a Driade riconosco dei meriti, sono in questa apertura, in questa capacità di accogliere, di ascoltare, di crescere in direzioni inaspettate, di inglobare pur con la forza di mantenere fermo un livello di guardia a garanzia della qualità. Stando dietro le quinte, come un regista che lascia i suoi attori improvvisare lungo tracce sicure, ho cercato ovunque quella stessa capacità di concentrazione formale ed espressiva.
Quando provo a guardare con sufficiente distacco, vedo Driade come uno scrigno o un’arca che raccoglie le bellezze del mondo in attesa del diluvio. Ma il mio progetto non è mai stato così ambizioso, se pure si può definire progetto questo piacere di lasciarsi andare.
In fondo Driade è un’attitudine al viaggio, alla curiosità, alla scoperta; non è certo una fabbrica di mobili.”
Grazie Enrico!